Oro, pizzo, stramma, mussola e panno. Il costume della Pacchiana Minturnese racchiude in sé le ricchezze dei popoli del mediterraneo, la storia di un'epoca in cui gli scambi economici con arabi e nordafricani, avvenivano senza il peso delle differenze religiose o di pelle. La ricchezza portata sul litorale laziale dai saraceni ha influenzato le preziose cuciture sul corpetto in oro, e gli ornamenti che le donne Minturnesi sfoggiavano.
Importanti sono anche i riconoscimenti che il costume ha ottenuto nella storia. Ricordiamo quando alle nozze del re Umberto II con Maria Josè di Belgio, l'8 gennaio 1930, è stato premiato tra cinquecento vestiti folklorici in competizione, come il più bello d'Italia. E nel 1981, a Bogotà, in Colombia, ha vinto il primo premio mondiale al Festival Internazionale del Folklore.
A realizzarlo sono le ricamatrici di Minturno, e ancora oggi nelle competizioni flolkloriche vengono usati gli abiti antichi tramandati dalla tradizione.
Storia resa viva dalle esibizioni dei Paggetti, i danzatori di musica popolare del Sud Pontino che dal 1966, tramandano i passi dei balli della tradizione, indossando ancora quegli abiti storici, il cui confezionamento era una vera e propria arte.
Mestieri antichi, ormai persi. Esistono ancora pochissime sarte specializzate nella realizzazione della camicia, dalle maniche pieghettate e bombate sul gomito, a simboleggiare ali spiegate al vento. Invece rarissimi ed introvabili sono gli artigiani che facciano ancora il ricamo in oro a mano, anche perché costosissimo, e possano creare come da tradizione, il “remmuto”, ossia l'insieme di tre elementi fondamentali: il corpetto ricamato in oro, che viene allacciato al petto, rinvigorito da stecche di stramma, e abbellito dalla scolla, una sorta di coprispalle di raso, con ai bordi ricami d'oro floreali. Ed infine i manicotti, allacciati alla camicia e anch'essi ricamati in oro. I due angoli della scolla vengono fissate dalle fettucce dell'elegante grembiule a nido d'ape, lo “zinale”, che lega alla vita una lunga gonna “sanaca” di lana o di panno ed ad avvolgere i fianchi della Pacchiana Minturnese è la “Pagniuccia” di panno rosso o violaceo chiamato appositamente panno di Traetto.
A completare tutto è il caratteristico copricapo, la “tovaglia”, inamidata che si porta fissata con due spille, su un'acconciatura formata da trecce arrotolate, la tovaglia di mussola e orlata con merletto o con pizzo, e scende rigida dietro la nuca.
Questo però accadeva durante le festività, mentre per la vita nei campi s'indossava il vestito ormai usurato o ormai vecchio ed invece della tovaglia, il “maccaturo”; la camicia non era pieghettata e la scolla era composta da un panno di flanella fiorato.
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